13/09/2014

Mazzucato: «Allevare hobby per i piccoli». La nostra risposta: «Normale»

di admin

Da anni ad ogni fine asta di cavalli da corsa ormai si è sommersi da lugubri commenti sulla fine dell'ippica italiana e sul destino cinico e baro calato come una scure sulla testa dell'allevamento italiano.Il mercato italiano dei cavalli da corsa, Italia, non c’è più da almeno tre anni, come già le aste Aanct lasciavano intendere da 5 o 6 anni. E giu con altre lugubri litanie, a dire che ormai le Aste sono inutili.
Ma in realtà i mercati, a seguito di errori o di situazioni prevedibili e imprevedibili , cambiano ed è imperativo prenderne atto. Adesso il  mercato esiste solo per chi ha da proporre fattrici top, specie con ottima produzione, o al primo prodotto ma con grande carriera e ottima genealogia.
Insomma il top stallone non conta più nulla se non si ha la top fattrice.
Quindi, chi non può mettere in campo questi prodotti se va alle aste deve ad affrontarle, sapendo che va già bene se copre le spese di monta.
E ieri, alle aste ITS,  questa era la speranza: almeno dal 60 in avanti l'importante era liberarsi del puledro e al massimo si poteva sperare finisse in buone mani, per sperare in eventuali premi al traguardo. E questo bene o male è successo ieri….e per questo alla fine della giornata l'aria era più respirabile.
Oggi tirando le somme vedo questa situazione: Se allevi per te stesso non c'è problema, ma bisogna sia chiaro che l'allevamento in Italia è diventato un hobby e come tale lo si deve prendere e interpretare. In Italia è rimasto un mestiere (aleatorio) solo per chi ha la fortuna di possedere o investe (se ha soldi da buttare) in top-fattrici.
Tutto il resto sono le solite chiacchere da bar (senza offesa per l'ottimo mister Truccone che di sigla allevatoria porta il glorioso "Bar").
 
Roberto Mazzucato


Caro Roberto,


ho amici che vanno in barca, qui vicino sul Lago Maggiore, e non hanno mai pensato di guadagnarci. Per la genovese famiglia Costa, per gli Onorato e altri grandi armatori è stata un’altra storia. Questo è ovvio, mi si risponderà. Ma nell’ippica non lo si manda giù o quantomeno non lo mandano giù in tanti. Io invece non ci vedo nulla di male se si alleva con pochi mezzi e tanta passione (e questo vale ancora di più per chi ha i cavalli in pista) e poi si riprendono solo parte delle spese. Mentre chi investe tanti soldi è meglio abbia una prospettiva, altrimenti se i soldi li butta – come da tua parentesi – questi finiscono presto e siamo da capo. Che poi ci debba essere una possibilità di guadagno anche con il figlio di nessuno bene, benissimo, Ma all’interno di un’ottica di gioco, che così divine più intrigante.
Un’ippica di tanti (ma con un reddito extra ippico accettabile, se no è ipocrisia) fondata sulla passione, anziché sull’aleatorio profitto, è un’ippica sana, a mio avviso.

Il problema è che la passione non va mortificata, come invece avviene. Basta vedere certe strutture e ancor più una certa mentalità. Ad esempio aver rinunciato ai colori – salvo poche lodevoli eccezioni – per evitare il disturbo di cambiarsi una camicia è stato criminoso (e tornare indietro sarebbe una riforma a costo zero). La sciatteria di certe premiazioni – ovviamente non penso a casi come Torino o Cesena (che guarda caso hanno pubblico e gioco) – potrebbe essere rimediata anch’essa senza spese. Sono d’accordo con te: a ITS l’aria era discreta. E aggiungo anche le facce erano ben più rassicuranti che in passato, ma su questo ha giocato pure il fatto che il Centro ippico Etrea (sede dell’Asta) non è la sciatta Settimo. E nemmeno era il Grand Hotel, solo c’era il bar con self service al posto del camion con la porchetta. Non c’è tanta differenza? Bene, allora teniamoci il Bar (anche senza dentro l'amico Truccone…).

A.F.