07/11/2014

Una lettera da Mario Allevi su Irha e Lega Ippica. E la nostra risposta

di admin


Gentilissimo direttore,
Vorrei esprimere il mio pensiero sulla questione, tutta politica, tra IHRA e Lega Ippica sperando di poter contribuire a una visione globale e pluralista sul mondo delle corse dei cavalli.
Seguo l'ippica da molti molti anni e ricordo quando tutto funzionava a meraviglia e c'erano soldi (forse troppi) per tutti. All'epoca c'era l'Unire, c'erano il Jockey Club, l'Encat e si scommetteva solo sulle corse dei cavalli.
Iniziamo dicendo che l'ippica sta soffrendo una crisi strutturale, morale e culturale le cui colpe sono di tutti, a partire dagli ippici stessi.
L'aumento dell'offerta sportiva, con l'ingresso delle scommesse, il cancro delle slot machine e VLT, ma soprattutto l’incapacità dell’ippica di comunicare i propri valori, hanno fatto il resto.
Difficile schierarsi, sinceramente, tra i due contendenti a guidare l'ippica italiana del futuro; in entrambi gli schieramenti ci sono gli stessi personaggi che con questa ippica a suo tempo si sono arricchiti, l'hanno prosciugata, e ora si eleggono a paladini per rilanciarla. Vorrei però soffermarmi sui contenuti dei progetti stessi e sul futuro dello sport che tanto amo.
La filiera ippica è un microcosmo di numerosi soggetti che in minima o in grande parte hanno a che fare con il cavallo.
Pertanto sono convinto che il progetto di rilancio del futuro ippico debba essere dato agli operatori (fermo restando un livello culturale medio che probabilmente non permette una visione di insieme ma più probabilmente il conseguimento dell'interesse personale) che, riuniti, devono decidere per il proprio futuro prendendosi la responsabilità di ciò che accadrà.
Sono entrato nel merito di entrambi i progetti (Lega e IHRA) e non le nascondo che tra i due mali sceglierei il minore, per me l’IHRA. Le spiego perché: sono molto preoccupato dal potere dato dal progetto Lega agli ippodromi. È come se la Lega Calcio fosse comandata dai proprietari degli stadi.
Che imprenditori sono? Quale è il loro ruolo nell'ippica? Non hanno speso per costruire le strutture, se le sono trovate, tutti i loro 'investimenti' (volutamente virgolettato visto lo stato degli ippodromi italiani) sono avvenuti solamente grazie ai soldi ricevuti dall'amministrazione pubblica negli ultimi decenni. Anche gli ammodernamenti furono a suo tempo pagati dal Ministero.
 Almeno nel progetto IHRA vedo un ruolo fondamentale per proprietari e allevatori che, nonostante abbiano ricevuto qualche regalino anche loro nel passato, sono quelli che hanno messo le somme a copertura (una specie di ricapitalizzazione) dei bilanci dell'ippica.
Si, perché nessuno vuole dirlo, nell'ippica di tutto il mondo qualcuno ci rimette. Perché non tutti i cavalli vincono le corse … Come non tutti i cavalli dall'allevamento passano in pista. Proprietari e allevatori mettono quella differenza economica fondamentale per fare stare in piedi il sistema.
Un altro punto che fa spostare l'ago della mia personalissima bilancia dalla parte di IHRA è la voce 'atri giochi' nel business plan di Lega Ippica. A prescindere dalla voce stessa che mi fa rabbrividire (se siamo costretti a puntare su slot e vlt negli ippodromi per sopravvivere siamo rovinati) è il numero che è spaventoso. Viene espressa la cifra di 50 milioni di euro all’anno a regime. Significa che ogni singolo giorno dell’anno circa 140.000 euro dovrebbero arrivare nelle casse dell’ippica dagli altri giochi. Lo Stato Italiano identifica come media per macchinetta 1.500 euro di incassato e circa il 10% entra nelle casse dell’esercente con i quali lo stesso deve pagare l’affitto dell’apparecchio, la manutenzione, ecc. Fatta questa premessa si può considerare che ogni macchinetta produca circa 100 euro al giorno di “guadagno” per chi la piazza nel suo negozio.
Questo vorrebbe dire avere ogni giorno almeno 1500 macchinette dovrebbero essere in funzione nei nostri ippodromi. Quindi almeno 500 macchinette accese ad ippodromo … una bisca. E se vogliamo riportare il pubblico e le famiglie negli ippodromi, non credo questa sia una buona filosofia.
Infine se da un lato nel progetto Lega viene specificata la quota degli altri giochi dall'altro non vengono coinvolti nel progetto stesso i concessionari, sarebbe come aprire una azienda senza reparto commerciale: una follia. Il progetto IHRA, invece, coinvolge il più grande concessionario ippico in Italia con il quale, che piaccia o meno, bisogna discutere.
In conclusione credo che nessuno dei due progetti vincerà, penso verrà messo insieme un ‘ibridone' ministeriale senza senso. Chiudo questa mia indicando quale modello mi piacerebbe per la nostra ippica:

La mia proposta: uno stato e tre federazioni
aVorrei un Ministero che mette (e metta per sempre) i soldi solo ed esclusivamente per il montepremi circuito corse d'élite (condizionate, listed, gruppi), per l'allevamento e per finanziare gli ippodromi di interesse nazionale. Il contributo, secondo me, potrebbe essere intorno ai 50 milioni di euro. Non impossibile visto quanti e quali ambiti vengono finanziati dal nostro ministero di riferimento.
Poi vorrei tre federazioni ognuna delle quali si occupa solamente del suo ambito. Il Jockey club per il galoppo che deve federare proprietari, allevatori, allenatori, fantini, gentleman e decidere per ciò che gli compete gestendo anche la propria cassa. Stessa cosa per l'Encat con il trotto. Infine la Federazione degli ippodromi.
Tutti dovrebbero vivere sotto il cappello di una Lega che al suo timone ha una figura di riferimento stile commissioner come nella NBA.
Come vivrebbero gli ippodromi?
Facendo, finalmente, gli imprenditori: la percentuale sul gioco di un ippodromo resta nelle casse di quell'ippodromo e con quei soldi l'ippodromo organizza le corse, crea il montepremi (escluso il circuito d'élite) e fa, finalmente, impresa.
Molti ippodromi chiuderanno: vabbè ce ne faremo una ragione. Meglio pochi, produttivi e funzionali che 50 da mantenere con i soldi dei contribuenti. Questo vale anche per i cavalli, per i proprietari e per gli allevatori: buoni e di qualità: Meglio: evviva la selezione!

Mario Allevi




 

Caro Allevi,
lei preferisce Ihra io Lega Ippica, o meglio il suo gruppo di appoggio, Imprenditori Ippici, al quale comunque non appartengo. Detto questo le spiego i miei perché: Lega Ippica è un movimento, poi in realtà trasformatosi in Imprenditori Ippici per non sovrapporre le varie definizioni, che attinge dal basso, ma fin dal principio o quasi con l’appoggio di Hippogroup (di qui il punto debole, lo riconosco, dell’eccessivo peso degli ippodromi). Cosa hanno fatto Tuci e i suoi prodi Imprenditori?
Hanno costruito un progetto (pagando un’onerosa consulenza, e mi piacerebbe sapere con che soldi), che poi è stato inserito nella delega fiscale. Un successo, ma per ora solo sulla carta, perché fino ad oggi non è cambiato nulla. A questo punto, quando lo stato ha detto sì, come d’incanto si è formata Ihra, alla quale hanno aderito quelle associazioni che avevano osteggiato il progetto Lega Ippica, in quanto questo ne azzerava il peso politico. Irha quindi è nata perché facce già molto viste hanno fatto di necessità virtù, un esempio di italico trasformismo. Per non smentirsi hanno poi eletto per acclamazione a proprio vertice Giorgio Sandi. Sandi prima ha dato una ripulita a San Siro Galoppo, poi ha promesso un Trotto a Milano che non si sta facendo. Infine si è candidato a dirigere l’Ippica, ad ascoltarlo sembrava l’imitazione di Marchionne fatta dal buon Crozza, quando espone un programma tutto di parte sua e poi sfarfuglia «Ma non voglio essere ringraziato per questo…». Chissà se Sandi ha letto quello che potremmo chiamare il protocollo Ruffo –Snai: quando Ruffo divenne un peso a Snai-Trenno, perché era arrivato Corradini, fu accollato ad Unire, l’opreazione durò due anni e nei corridoi di via Montale ne si parlava anche alle macchinette del caffè. E se Snai dovesse passare a un investitore internazionale, il signor Sandi potrebbe avere il medesimo trattamento (Lega o Unire fa lo stesso)… Tanto a Roma si dice chiaro: i soldi per la privatizzazione non si troveranno e allora si tornerà a chiedere l’intervento di stato (meno chiaro se ci sarà).
Poi c’è un problema di stile (che a mio avviso conta tanto): Sandi si diverte a chiamare “Camiciaio Tuci” – perché quest’ultimo ha un’attività nel settore confezioni. Tuci invece non chiama Sandi, ‘Piazzista di motociclette’ (anche se sul web vi sono prove ‘schiaccianti’). Questo per me ha un valore. E poi credo che Sandi non sappia che il presidente Usa Delano Roosevelt fu chiamato anch’egli il Camiciaio perché, prima di vincere la Seconda Guerra Mondiale, vendeva appunto camice. Poco male che Sandi non lo sappia, meno che non sappia che non centra nulla quel che si faceva o si fa. Conta la credibilità oggettiva di quel che si dice e ancora di più i risultati.
Alessandro Ferrario