11/04/2016

Il 10% per le corse estere forse attende la firma. È un sistema che non va

di admin

Siamo alla sesta telefonata di allevatori che ci chiedono come ottenere dal Mipaaf il 10% sul premio vinto da cavalli italiani all’estero. In realtà quei soldi nessuno li può avere sebbene tutti siano d’accordo che vadano dati. Questo perché l’Anact di Ferrero ha sì ottenuto l’assenso del Mipaaf, ma al Ministero non si è ancora deciso chi deve mettere (o vuole?) firmare il provvedimento. Intanto si continuano a premiare allevatori di cavalli di 9 e più anni che vincono a Reclamare ad Albenga  (e spesso è pure gente che ha smesso da anni di allevare) e non si dà nulla a chi ha venduto e vinto all’estero (a meno che non vinca una corsa dal montepremi di 50.000 euro o un Gr 1 o Gr 2, come recita la vecchia regola).
Io penso che la cosa si risolverà, poi se e quanto sarà retroattiva non ne ho idea. Credo anche che le telefonate che arrivano in redazione dipendono dal fatto che erano state suonate le trombe prima di avere il gatto nel sacco. Così le saccocce restano altrettanto vuote e la gente si chide perché.
Ma il vero problema è che ogni decisione che si prende in questo settore ha tempi lunghi: prima deve essere spiegata dagli ippici ai ministeriali (che mica sono stati assunti perché sapevano di corse), poi deve essere vagliata dai politici e poi ci vogliono i decreti attuativi (e bisogna sperare che il Mef o il Tar non si metta di mezzo). È chiaro che così non si può fare spettacolo e tanto meno si può governare nulla (sebbene il 10% il giorno che arriverà sarà un innegabile successo di Ferrero e compagni).
Per risolvere il problema la proposta più gettonata è la privatizzazione. Ma questa si incaglia sempre da qualche parte. Perché? La risposta ufficiale è che una volta cade il Governo, l’altra la Delega e così via. Questo anche perché c’è poca attenzione all’Ippica da parte della politica, in quanto al ministro Martina stiamo anche un po’ sulle palle.
Poi c’è l’altra risposta: le cose vanno a rilento perché è sì pieno di privati che si candidano a dirigere, ma non c’è nessuno privato (banca, fondazione, fondo di investimento) che si propone di finanziare. Se non fosse così lo stato l’ippica ai privati gliela avrebbe impacchettata e consegnata in gran fretta ben prima che arrivassero le nefande scadenze.
Personalmente propendo un po’ più per la seconda risposta; e comunque credo che, stante l’attuale scenario, la privatizzazione sia un salto nel buio (ma se c'è un incendio saltare dalla finestra può anche essere la cosa più saggia). In ogni caso, quale che sia la verità, il problema immediato resta uno solo: se non si può manovrare adesso che c’è un venticello di ripresa, perché c’è (lo confesso: fortunatamente per me se ne è reso un po’ conto anche il commercialista di Vendopuledri), potremmo anche andare a fondo. Infatti sotto certi numeri l’ippica non è più ippica. E noi siamo poco sopra quei numeri.

 Alessandro Ferrario