16/06/2013

Storie del Trotto: Bellino II il pigro raccontato da Paolo Allegri

di admin

Non sempre un cavallo da corsa è nato per trottare, nel senso che per quell'atleta a quattro zampe è il suo mestiere, ma non è cioò che lui ama fare. Le storie degli ippodromi sono un dedalo di suggestioni. Ce lo ricorda quella francese di Bellino II, tre volte vincitore del Prix d'Amérique tra il 1975 e il 1977. Il primo titolo conquistato a otto anni, il terzo nell'anno del congedo, a dieci. Non sempre la storia di un cavallo è una fiaba dove tutto è perfetto, cioè l'inizio nasce nella luce ed il finale è un “vissero tutti felici e contenti”. A volte la fiaba si nutre di follia, di scarto dall'ordinario. Bellino II era nato nell'Alta Savoia da due genitori ai margini della grande ippica. La madre Belle de Jour III era entrata in razza a 10 anni e la sua progenie non si era messa in evidenza. Quando si avvicinava ai 20 anni l'allevatore, Maurice Macheret, anziché giocarsi la carta di un ultimo tentativo con un sire di grido fece una scelta dettata dalla comodità. Lì, a pochi chilometri dal suo allevamento, funzionava uno stalloncino di nome Boum III. Da quell'incrocio di due trottatori mediocri venne fuori un puledro imponente, un colosso di nome Bellino II.
Dal principio il puledrone non ama molto trottare e per tenerlo in allenamento Réne Sala, navigato uomo di cavalli, scelse di farlo passeggiare tre ore al mattino e altrettante al pomeriggio (figuratevi se capitasse oggi…). Bellino II non era insomma un gran lavoratore, ma era uno di grande appetito: spazzolava tutta la sua razione, e per dargli un minimo di elasticità nel muovere quel fisico statuario doveva smaltire tutto quel carico di calorie con quello che l'allenatore di calcio che aveva inventato la preparazione atletica, Helenio Herrera, chiamava movimento; assioma al centro della filosofiadella Grande Inter degli anni Sessanta. Che Bellino II non amasse trottare lo diceva anche il suo atteggiamento pre corsa. 

Flemmatico, quasi indolente, sembrava addormentato. Poi soltanto il suono della campana dello starter e l'urlo della folla della grande tribuna di Vincennes lo svegliavano. Accadde anche nel terzo trionfo nell'Amérique, inverno del 1977. Un gran volo sulla salita dalle retrovie, con Jean Rènè Gougeon che lo chiama e Bellino II che comincia a sorpassare uno a uno i rivali. Trottava all'esterno, copriva molti più metri degli altri e per giunta sulla salita. Ma sembrava volasse quella roccia di atleta che, all'ingresso sulla carbonella per la sua ultima recita nella madre di tutte le corse, sembrava dormire. In quel magico 1977 il trottatore nato nell'Alta Savoia vinse anche il Paris sui 3125 metri rendendo 25 metri a Eleazar e 50 a Dimitria, rivali con i quali aveva spesso incrociato i guantoni nelle ultime tre annate. Nella stagione precedente l'allievo di Gougeon aveva firmato un'impresa straordinaria riuscendo a vincere le quattro grandi corse del meeting d'hiver: Cornulier, Amérique, Paris (rendendo 75 metri allo start) e Prix de France. L'ultima stagione della sua carriera lo vide anche protagonista in Italia con i successi nel torinese Costa Azzurra e ad Agnano nel Lotteria. Il figlio della inconsistente Belle de Jour III era riuscito a stupìre l'intera Europa della grande ippica. Chiuse un'attività in pista con uno score di 45 vittorie e 25 piazzamenti in 87 corse disputate. Eccezionale per un cavallo quasi inallenabile, dal fisico così mastodontico che era un impaccio. La sua forza era però in una carica agonistica che dirompeva quando le mani del guidatore lo chiamavano all'impegno o semplicemente, quando il suono della campana, risvegliava in lui l'istinto del capo-branco, del cavallo che in un gruppo vuol prevalere sugli altri. E attratto dal richiamo della folla, vola verso il traguardo a prendersi la scena. 
Non sempre le storie dell'ippica sono una fiaba, dove tutto all'inizio e alla fine è un mondo perfetto. Con Bellino II si era partiti tutto all'incontrario, un mondo rovesciato con un cavallo che nasceva da dei routinier, con un fisico smisurato da renderlo goffo nei movimenti. Tante passeggiate e la pazienza dei suoi uomini lo trasformarono in un campione quasi invincibile. Ogni tanto è bello che in una fiaba ci sia quel pizzico di follia  che giri la storia.