08/07/2013

La breve vita felice di Egle Fanelli

di admin

Due funzionari dell’Unione ippica italiana, antenata degli odierni enti ippici, le portarono un sussidio di 500 lire, ma arrivarono tardi: la trovarono morta in uno ospizio di Modena. Così, in una giornata del 1930, finì la vita della settantenne Egle Fanelli, già titolare della Scuderia di corsa Lady Hambletonian e donna dello scandalo: ex attrice, ex concubina, ippica militante. I registri dell’Unione portano ancora la macabra causale di quel ritorno di cassa. Un ritorno che non ci sarebbe voluto perché la Fanelli era una grande donna, non per come da ragazza aveva cantato in opere e operette, dove sembra facesse discreti strazi, ma per come visse: in anticipo sui tempi e al passo con la passione. All’ippica arrivò grazie a un amante da copione per un’attricietta di fine 800, tal barone Alberto Roggieri, genovese trapiantato tra Emilia e Versilia, dove riteneva si vivesse e si mangiasse meglio che a Genova. Il nobiluomo, evidentemente più sensibile a grazie differenti da quelle del bel canto, ben presto capì che Egle per lui nutriva dell’affetto sincero, ma amava certamente di più suoi trottatori. Roggieri infatti aveva scuderia e allevamento a Tenimento di Novi, vicino a Modena, dove aveva importato Orloff e americani: fu lui a portare in Italia Van Tassel e Mercey’s Hambletonian.?La storia di questo amore a tre, intenso verso i trottatori e meno tra lui e Egle, è riemersa grazie ad Arlecchino, bel racconto della raccolta Campo di Prova di Patrizia Carrano (Rizzoli 2002, Edizioni Museo Storico del Trotto). La Carrano lascia intendere che a Roggieri non dispiacque nemmeno tanto che Egle gli preferisse i cavalli, il barone non era tipo da vincoli, e se tra i due non nacque un grande amore ci fu di certo una complicità unita dall’anello della pista che escludeva qualsiasi altro anello. Le cronache d’allora riportarono che Roggieri “aveva levato la Fanelli dalle scene per condurla nel suo tenimento di Novi”, ovvero “in quel luogo”, scrive invece la Carrano nel suo racconto, “in cui abitavano le sue speranze, i suoi progetti, la sua passione […], felice di mostrarle la parte più cara della propria vita.” E la Carrano dimostra così d’aver capito cos’è un allevamento per un ippico vero. Sempre secondo il racconto, quel giorno Egle provò l’ebbrezza del sediuolo: le attaccarono una fattrice e lei si ritrovò con “le mani strette, i gomiti troppo rigidi, le gote in fiamme, la pamela di paglia a mala pena trattenuta da un nastro […], su quella padovanella la signorina Egle si sentì finalmente, e per la prima vola in vita sua, una creatura libera”. Poi Roggieri la portò alle corse e Egle scoprì che “le piaceva l’ansia sospesa con cui il cavallo veniva vestito, la rarefatta emozione che precedeva la gara, lo spossato sollievo che giungeva con il buon risultato”. In breve Egle si occupò dei cavalli in allenamento e sembra si dilettasse anche a cantargli romanze (sperando che almeno loro le gradissero), Roggieri invece seguiva l’allevamento. Un paradiso, ma la famiglia del barone li ricondusse relativamente presto sulla terra, minacciando di tagliare i fondi ai due. E lui se ne tornò a Genova, forse preoccupato ma non pentito. Egle continuò da sola tirando fuori persino il crak:  quell’Arlecchino, figlio di Van Tassel, per il quale, dopo un’importante vittoria a Nizza, l’ex attricietta  rifiutò un’offerta da capogiro del senatore Breda. Lo fece tenendone allo scuro il suo guidatore, Gigetto Debbia, che “da spirito pratico, che tirava a guadagnare presto e bene, di certo l’avrebbe consigliata di accettare […] E Arlecchino la ricambiò di quel silenzio vincendo in Francia anche nella stagione successiva.” Il racconto si chiude con la Fanelli che, deciso di tenere Arlecchino per sé, “pensò che i prossimi cent’anni sarebbero stati anche suoi. E dei suoi trottatori”. Non andò così: venuti a mancare i sostanziosi interventi di Roggieri, la Fanelli, come la Carrano spiega in una nota al racconto, finì appunto i suoi giorni in miseria.?C’è da credere che il racconto di Patrizia Carrano, suggeritole da una chiacchierata con quel sacerdote della storia del trotto che fu Ermanno Mori, sia una cronaca fedele dei sentimenti dei due protagonisti e dell’ambiente in cui vissero. Questo perché le cronache dei sentimenti a un secolo di distanza sono efficaci solo se iltrate dalla letteratura.

 

È quindi vero che Egle non pagò il suo essere ippica solo morendo all’ospizio, ma pagò anche prima, pagò anche quando vinceva. «La ricordo in scuderia da papà», spiegva Mario Barbetta, una carriera di driver di prima grandezza alle spalle e figlio di Ettore, guidatore per eccellenza del primo 900. «Da noi veniva con il Tabaccon, che papà chiamava per aiutarlo coi puledri per i quali aveva una mano eccezionale. La vedevo quando tornavo da scuola, ero un bambino ma la signorina Egle mi è rimasta impressa. Ebbe una vita difficile, mia madre mi raccontò che se entrava in un negozio tutte le signore uscivano. Non la evitavano in quanto amante del barone, ma perché quella relazione era di pubblico dominio. Credo abbia fatto anche da prestanome a Roggieri quando lui tornò a Genova e la famiglia gli aveva imposto di abbandonare l’ippica. Si illudevano…».?Cavalli o no, Alberto Roggieri fu comunque un impenitente. Si sposò con la merchesa Carmely de Fornari, fiorentina di grande blasone e bellezza straordinaria (ma sembra non di altrettanto acume), dalla quale si separò qualche qualche anno dopo , quindi la Fanelli non ebbe mai una moglie come rivale. Il suo vero Rivale era il gioco. «Il  Roggeri era un oculato dissipatore di patrimoni, la cui fama ha attraversato le generazioni della famiglia», ci ha spiegato Totò Badini (foto a fianco), madre del Mil Borromeo allenatore di galoppo. «In una notte al casinò si giocò anche lo yacht con tutto l’equipaggio il Maria, una vela stupenda, tra le prime imbarcazioni private a traversare l’Atlantico». Totò Badini, da anni anima dell’Unione volontari per l’infanzia, racconta dell’avo scapestrato con tanto di cammeo tra le mani. Un medaglione da cui il barone Alberto Roggieri, volto da ragazzo incorniciato in protocollari basettone , sembra guardare anche lui la foto appena tolta dell’album che ritrare il Maria in darsena. E sembra ancora chiedersi, più stupito che dispiaciuto, da dove diavolo sia spuntata quella carta che glielo portò via. «A un certo punto», spiega la signora Badini, rivelando un epilogo sconosciuto alla Carrano, «all’inizio del 900 rimase senza soldi e si sparò». Gesto allora quasi d’obbligo in simili frangenti, noblesse oblige. Sebbene sia immaginabile che i creditori sperassero in altri adempimenti. Non si può biasimarli se non capirono che tutto era successo perché Egle Fanelli e Alberto Roggieri tentarono di vivere liberi e secondo passione ippica. Ma commisero il tragico errore di non accettare che solo ai cavalli, e solo ai pochissimi come Arlecchino, è concessa la fortuna di poter stare sempre davanti a tutti, senza mai guardarsi indietro, senza curarsi di ciò che fanno gli altri. E nemmeno di dove qualcuno ha piazzato il palo.