20/07/2013

È morto Walter Baroncini – Il nostro Ricordo

di admin

Ieri sera è morto Walter Baroncini e con lui se ne è andato l’ultimo pezzo della BBC. L’acronimo dei tre cognomi Brighenti, Baroncini e Casoli, i tre grandi del trotto dagli Anni 50 e 60, gli anni irripetibili. E che resteranno tali anche quando, e noi ci crediamo, la situazione si sbloccherà e si passerà dal precipizio attuale a una qualche stabilità.
Ai figli di Walter Mauro, Sandro, Roberto – gli unici dei discendenti tre ad aver proseguito la carriera in pista – vanno tutte le nostre condoglianze. Di seguito un servizio che li ricorda assieme, perché assieme sono saliti dall’Emilia e dalla Toscana, per tentare la carriera dei driver alla Scala del Trotto, il mitico San Siro. Tutto un mondo che sulla carta non esiste più, ma resta nei cuori di qualsiasi ippico, perché chi non lo ricorda, chi non si rammarica di quel che è successo, ippico non è.

Ciao Walter, se non ci fossero stati quelli come te noi, oggi, non avremmo ragione di continuare a lottare per l'ippica.

Alessandro Ferrario e Antonio Asdrubali

BBC, una Storia a Tre

«Dovevo passare, ma Brighenti era davanti a me e se solo si fosse spostato di qualche centimetro sarei rimasto chiuso. Per giunta capii che Sergio stava proprio per spostarsi, si stava toglieno perché Tornese era allo stremo. Allora gli urlai “Sergio! Sergio! Tieni duro un attimo, che dietro ci sono io. Dami il tempo di passare, poi vai in corda a fermami quelli dietro!”». Brighenti tenne ancora per qualche metro chiedendo, come spesso gli capitava, l’impossibile al cavallo. E Walter Baroncini infilò quel varco che aprì a lui e a Nwestar la strada alla vittoria dell’Amérique 1962. Questa è solo una delle storie di quella che tutti a Milano negli Anni 50 e 60 chiamavano la Bbc, acronimo che nulla aveva a che fare con la Tv britannica, in quanto derivava dai cognomi dei tre grandi guidatori-amici-rivali di allora: Sergio Brighenti, Walter Baroncini, William Casoli.

Fin da bambini
La loro è stata la più bella e profonda storia di sport dalla nostra ippica. Brighenti, Baroncini e Casoli scoprirono e impararono il mestiere del guidatore assieme, quando furono tutti e tre allievi in Emilia nella scuderia di Paolo Jemmi, patrigno di Brighenti e zio di Casoli. Una volta sgrossati, nel 1940, sbarcarono non ancora ventenni a San Siro, dove condivisero per anni la medesima camera dell’albergo, il Nino, a poche centinaia di metri dall’ippodromo. Lì si erano sistemati con un letto a castello.
Sì perché Brighenti, Baroncini e Casoli, divenuti poi il Pilota, il Mago, il Professore, hanno passato una vita assieme senza mai risparmiarsi in pista nessun colpo, ruotate comprese, ma tornando a ogni occasione ad aiutarsi e divertirsi; sembra che mitiche fossero anche le scorribande dei tre con le fans, numerose e determinate soprattutto a Cagne sur Mer.

Baroncini, l’inventore
Da anni il testimone di Walter Baroncini è stato raccolto con prestigio dal figlio Mauro, che nel padre ha avuto prima un maestro e poi un consigliere. Non avrebbe potuto essere altrimenti, visto che Baroncini conta la bellezza di 4500 vittorie. In una carriera che è andata dal debutto nel ’44 fino all’ultima corsa, un secondo a Trieste, nel 2004! Parlandoci, quel che più faceva impressione è che sembrava ricordarsele tutte quelle 4500 vittorie, tanto sapeva entrare nel dettaglio. Di Newstar, la cavalla che gli regalò l’Amérique con la complicità dell’amico Brighenti, raccontava anche quando lo provò per la prima volta su di una pista di provincia «di soli 600 metri e dove dovevo abbassarmi per passare sotto i rami di un mandorlo. Un mandorlo in fiore», teneva a precisare… Nonostante i mandorli lui capì tutto di quella baiaetta, e la consigliò alla scuderia Olsa, per la quale la alleno anche. Aveva una straordinaria capacità di inventare la corsa, trasformando situazioni disastrose in occasioni. Con Icare IV nel 1959 la portò alla vittoria della Challenge Cup negli Stati Uniti, dove con Florinda vinse anche l’Habletonian Filly.

 Brighenti il duro
Sergio Brighenti, complice anche Tornese – con Varenne il trottatore italiano più fascinoso – fu il più carismatico. Nato nel 1921, morì per primo, nel ’90. Aveva un vocione roco, un fare rude e un modo di trattare persone e cavalli a troppo impulsivo, nel bene e nel male. Non era uno che non sapesse a cosa servisse la frusta. Non tollerava i cavalli insicuri nella partenza, «prima vai in testa, prima vinci», era il suo motto, che gli valse il soprannome di “pilota”. Un motto impegnativo: niente punti di riferimento, l’andatura da inventare, le mosse dagli altri non si seguono, si anticipano; sempre che si sia capaci di capire cosa hanno nella testa. La parte buona di Brighenti, che Luigi Gianoli definì «uno dei più grandi uomini di cavalli di tutti i tempi», era la capacità di entrare nella testa dei cavalli. Gli riuscì soprattutto con Delfo, il figlio dell’italiano Cinquale, che in pratica solo lui riuscì a far impegnare. Per avere un’idea della sensibilità necessaria a guidare il terribile baio, basta leggere le dichiarazioni di Brighenti nel dopo corsa della vittoria all’International Trot, a New York: «Ho vinto perché in corsa sono riuscito a distrarre il cavallo da un furgone giallo a bordo pista che lo aveva spaventato durante le sgambature».

William Casoli, lo sperimentatore
Lo chiamavano il professore perché dei tre era il più riflessivo, il tattico più fine. Inoltre ‘studiava’ in Usa, almeno allora vera università del trotto. William Casoli è stato il driver storico della scuderia Orsi Mangelli, la più blasonata delle nostre formazioni, «per me una scuola di vita», teneva a precisare. cMangellli aveva box anche negli Usa e Casoli era un pendolare Atlantico. «Ricordo un giorno all’aeroporto, mi fecero aprire i bagagli e ne vennero fuori decine di ferri, prototipi americani che portavo in Italia, per farli copiare e studiare. Non fu facile spiegarlo al doganiere…». Anche per Casoli, morto nel novembre del 2009, la vita da guidatore fu lunghissima: si fermò nel 2004, proprio come l’amico rivale. Del suo debutto, 1942 a Bologna, ricordava: «Mi si emozionai e quando girammo verso la tribuna e vidi le teste del pubblico ebbi, come in sogno, l’impressione che fossero enormi». Strani scherzi per uno che passò alla storia come il driver dai nervi d’acciaio. Ma erano tre ragazzi…