13/08/2013

Omero e Vivaldo Baldi: fondatori di una dinastia. Di P. Allegri

di admin

Se Omero Baldi avesse potuto conoscere Vendopuledri ne avrebbe fatto tesoro. Ma essendo nato nell’800… Però, sia pure senza video né foto, fu lui il più grande nello studiare ogni più impercettibile movimento di uno yearling per capirne la potenzialità e, se possibile, per poi trasformarlo in una macchia da corsa, spesso perfetto. Lo ricordava anni fa il figlio Vilado Baldi classe 1924, morto nel 2008 a 84 anni e fino a 80 ancora sporadicamente in sulky al mattino, dopo aver ottenuto circa 5000 vittorie. «Da giovanissimo», raccontava Vilaldo, «cominciai a seguire il lavoro di mio padre Omero, allevatore e allenatore di talento. Papà sapeva impostare magistralmente i puledri e intuirne le potenzialità. Lavorando i suoi cavalli fin da quando avevo undici anni fui contagiato dalla passione per le corse. Una mattina durante un allenamento di routine rischiai la vita e rimasi ferito gravemente, tanto che porto ancora sul volto i segni di quell'incidente, ma la passione ebbe il sopravvento e poco dopo debuttai come allievo. Allora per gli amici ero "Decione", dalla mancia che da ragazzo mio nonno Donatello mi dava per accudire nelle stalle di casa i cavalli che la famiglia utilizzava nel mestiere di carbonai».
Poi l’ippica diede a Decione la possibilità di esprimere il suo talento. La prima ribalta fu la vittoria alla guida di Scrivia nel Premio Toscana, precedendo sul traguardo il grande Inverno. Il 1951 fu per Vivaldo Baldi un anno eccezionale, come scrisse Luigi Gianoli nel suo Il Trottatore (Bompiani): «Tra i guidatori si ebbe la prevalenza di Vivaldo Baldi con 202 successi che superavano il precedente limite di Ugo Bottoni e uguagliavano il record americano di vittorie». Il secondo frustino d'oro arriverà nel 1953, con 242 vittorie. Ma il campione che lo consacra è Birbone, con il quale vince il Lotteria di Agnano nel '52, '53 e '55. «Birbone», racconterà poi per tutta la vita, «era un cavallo furioso e difficile a trattarsi al punto che per tenerlo quieto in box al posto delle solite briglie si dovevano spesso usare delle catene. Ma, sapendolo prendere ripagava ogni sforzo. In corsa dimostrò sempre le sue grandi doti: nel 1952 al Lotteria di Agnano fece 1.18 al chilometro, un tempo eccezionale per allora, su quelle piste e con quei materiali». 

Vivaldo Baldi avrebbe poi trovato un altro asso in Crevalcore, il diavolo nero che nel 1960 sfiorò la vittoria nell'International Trot al Roosvelt di New York. «Quel Mondiale ce lo rubarono gli americani, perché la giuria non squalificò il franco-olandese Harois II nonostante la rottura in partenza. Crevalcore si impegnò in un gran recupero negli ultimi 400 metri, che coprimmo in un secco 28, cioè 1.10 al chilometro: una velocità mai vista neppure sui levigati aneli di laggiù. I tanti italo-americani presenti all'ippodromo si entusiasmarono, ma mezz'ora dopo il responso della giuria ci negò la soddisfazione della vittoria. Però i giornali americani ribattezzarono Crevalcore mister 28, fu una soddisfazione».
Le storie dei fuoriclasse con Vivaldo Baldi potrebbero continuare all'infinito. Ma finiamo con The Last Hurrah, anche lui con due Lotteria, 1978 e '79. Sui grandi che aveva guidato nella sua lunga carriera dava giudizi professionali, sicuri, si potrebbe dire chirurgici: «Per la velocità assoluta Crevalcore e Delfo. Crevalcore in estate nove volte su dieci riusciva a battere Tornese, il suo rivale di sempre, che invece lo batteva in inverno. Delfo era di grande temperamento, poderoso, ma non amava né tattiche né ripensamenti: andava di potenza e basta. Birbone aveva testa in corsa, ma più intelligente è stato The Last Hurrah: faceva tutto lui». Un tutto lui che, c’è da credere, con l’evoluzione successiva, oggi lo farebbe considerare un cavallo terribile, al limite dell’inallenabile. Ma non Vivaldo e Omero.