22/08/2013

La Storia dei Mangelli tra calze e cavalli

di admin

«In Emilia Romagna i cavalli non servivano per trasportare la gente o per trainare i carretti. Servivano per correre e per fare del rumore. Gli emiliani e i romagnoli hanno in comune il gusto della velocità rumorosa. […] Si ascolti il ritmo degli zoccoli di un cavallo trottatore; si ascolti il suono degli zoccoli di un trottatore. È un irruente duro martellio che fa lievemente tremare la terra intorno e solleva della polvere. Questi tre semplici elementi: polverone (o meglio, puribò), terra che trema e ritmo rumoroso, determinano l’amore di emiliani e romagnoli per le corse. […] I cavalli trottatori parlano bolognese, o reggiano, o ravennate. Lo imparano subito, anche quando vengono dall’America.» L’ormai anziano conte Paolo Orsi Mangelli quando lesse questo passo dell’impareggiabile Italiani a cavallo (Bietti 1967) di Max David si mise a ridere o, forse, a piangere. Perché David, grande giornalista e appassionato di cavalli di metà 900, parlava di romagnoli e italiani descrivendo proprio lui, l’aristocratico di Forlì che, nato nel 1980, aveva fondato il trotto moderno; assieme a tante altre aziende (vedi il calzificio Omsa) che fecero la fortuna di quelle zona.
Paolo Orsi Mangelli, lo strano cognome nasce dall’unione di due casate avvenuta nel 1656, iniziò come guidatore dilettante a vent’anni. Nel 1910 vinse una corsa importante con Charming Daisy, una cavalla americana che lo convinse delle grandi potenzialità delle linee di sangue d’Oltreoceano in un periodo dove i favori si dividevano tra Orlov e Normanni, cioè tra trottatori di linea russa e francese.

Arriva il Babau
Nel 1911 dall’America arrivò il sauro Babau che, affidato al professionista Agostino Montalti, a tre anni divenne campione della sua generazione in forza di tempi strabilianti quanto oggi ridicoli: vinse le tre prove sui 1609 metri del premio dell’Allevamento a Milano alla media chilometrica di 1.31.1, 1.32.4, 1. Dopo Babau arrivarono quasi vent’anni di silenzio. Il conte Paolo preferì dedicarsi esclusivamente all’innovazione in agricoltura – introdusse la coltivazione del tabacco in Emilia – e all’industria, fu tra i primi a produrre cellophante. Ma qualcosa nel suo cuore ticchettava ancora al trotto e il ticchettio divenne impeto intorno ai quarant’anni; l’età nella quale ci si rende conto di essere all’ultima chiamata per salire sui treni che portano verso i propri sogni.

Le Budrie: Best of the Best
Lui quel treno lo prese a Le Budrie, una tenuta vicino a San Giovanni in Persiceto, dove si lanciò nel suo grande progetto allevatoriale, perché lui sapeva pensare solo in grande. Iniziò nel 1930 con una quindicina di fattrici prese, con relativi puledri, da un allevamento in liquidazione. Nel ’31 era già in America in viaggio studio alla Hanover Sohe Farm; il proprietario Lawrence Sheppard era un industriale calzaturiero con il pallino delle sponsorizzazione, una vera eccentricità per i tempi. Da quell’allevamento nel Kentucky tornò con un motto: ‘Best of the Best’, ovvero per allevare cavalli veramente da corsa bisognava incrociare stalloni fenomeni con fattrici fenomeno. La prima cosa da guardare era la loro carriera in pista e subito dopo la genealogia. 

I soldi e la passione e il figlio
Mangelli ebbe i mezzi economici, la passione e la capacità imprenditoriale tenere fede al suo motto per tutta una lunga vita, morì nel 1977. Dall’America tornò anche con l’idea che i cavalli avessero bisogno di grandi spazi, così dopo qualche anno alle Budrie aggiunse la sede di Anzola dell’Emilia, dove fino ad allora si erano allevati purosangue (qui iniziò a lavorare Pietro Gubellini, il fantino di Nearco e nonno dell’attuale top driver Pippo Gubellini).

Tanti risultati Paolo Orsi Mangelli li deve anche al fatto d’aver trasmesso la sua passione al figlio. Uno che nella vita ebbe solo la sfortuna di essere chiamato Orsino, ma per il resto se la cavò egregiamente, divenendo un driver dilettante, capace di correre costantemente tra i professionisti, fino a vincere un Derby con Floridoro nel 1939. Una specie di Mauro Biasuzzi ante litteram…

I derby come risultato
Collezionare Derby del resto era abitudine famigliare. Quello di Etrusco nel 1931 fu solo il primo di una serie che ne contò dieci, con il capolavoro del 1960 quando i cavalli nero e rosso granata, questi i colori della scuderia, monopolizzarono la classicissima: Gualdo, primo, Guiglia, seconda, Grifone, terzo, Germano, quinto, d’un soffio sul quarto (non era mai captato e non capitò mai più nella secolare storia dell’ippica). Ma dieci Derby sono nulla, o perlomeno poco, in confronto a quattro Ameriqué –in pratica il campionato del mondo del trotto all’europea – che Orsi Mangelli, conquistò in quest’ordine: 1938 e 1939 (De Sota, guidato da Alessandro Finn), 1948 (Mighty Med, guidato da Vincenzo Antonellini), (1951 ancora Mighty Med, ma guidato da Alessandro Finn).