28/03/2020

In Svezia a segno Zinco Jet che ci fa tornare in mente la prima fuga di Birbone – quella per la vita – con mamma Tonga raccontata da Antonio Berti

di admin

di Mario “Amario” Alderici – Ci addentreremo la prossima settimana sui cavalli italiani a segno in Svezia ma la vittoria di Zinco Jet ci ha fatto tornare alla mente il bel racconto del grande Antonio Berti riguardante la prima fuga (quella per la vita) di Birbone e di sua madre Tonga (che è la sesta madre di Zinco Jet):   

Tonga, per i geografi, è un piccolo staterello dell’Oceania formato da oltre 150 isolette, la più importante, Falcon Bank, nome originale Fonuafo’ou, formatasi a seguito di eruzioni sottomarine nel 1885, fu poi demolita dall’erosione marina per riemergere definitivamente nel 1955. Si tratta di un piccolissimo regno indipendente nell’ambito del Commonwealth britannico, i cui abitanti sono bravi e tranquilli, famosi per il loro spirito di accoglienza, tanto che il navigatore James Cook le battezzò Friendly Islands.

Per gli ippici, invece, in particolare per quelli con i capelli bianchi o per i più giovani che, però, amano “navigare”, in su e in giù, non solo su internet, ma anche nelle genealogie del trotto, richiama alla mente il nome di una fattrice di qualità, protagonista di una brutta avventura a lieto fine, degna, scriveva Ugo Berti sulla rivista Derby dell’agosto 1952, di un film di Frank Capra, regista noto per il suo ottimismo. Gli attori di questo “film”, che riguarda la brutta avventura ed il lieto fine di questa bella storia, sono gli allevatori ferraresi Germano Barilari ed Oberdan Bisi, soprattutto quest’ultimo, e, ovviamente, Tonga, una femmina da Clyde The Great e Fulminea, questa, classe 1923, da Jockey (1903) e Solola (1908) allevata, appunto, da Germano Barilari che, nel suo giardino, aveva addirittura eretto un monumento sulla tomba di Jockey. Altri tempi! Fulminea fu una grande fattrice, con diversi prodotti importanti all’attivo, fra i quali Magda, da Peter Fellows, vincitrice del Derby 1933. Tonga fu l’ottavo prodotto di Fulminea. Le fonti di questo “film” sono il prof. Primo Castelvetro, insigne studioso del cavallo trottatore, uno dei fondatori dell’ANACT e ideatore dell’incrocio franco americano, che scrisse dell’argomento su Rivista Ippica dell’agosto 1952, e l’avv. Ugo Berti, fondatore e direttore di Trotto Italiano, che tracciò la storia delle disavventure di Tonga sulla rivista Derby del 15 agosto, sempre del 1952. Ultima fonte, ma non ultima nel merito, un librettino edito dall’A.N.A.C.T nel giugno del 1945 e stampato nella Tipografia Compositori di Bologna. L’Associazione Allevatori aveva la sede a Roma, ma in quel periodo l’Italia, almeno fino agli ultimi giorni di aprile di quell’anno, era divisa in due dalla linea gotica, al nord i tedeschi, al sud gli alleati, aveva in funzione un ufficio provvisorio di segreteria a Reggio Emilia, in via dell’Abbadessa al numero 11. Questo libretto, che non porta nomi di autori, ma che è sicuramente riconducibile al prof. Primo Castelvetro, pubblicava gli elenchi di tutti i cavalli trottatori razziati dai tedeschi. E fra i tanti nomi c’era quello di Tonga. Detto degli attori, accenniamo ai luoghi e ai tempi, che sono quelli dell’Emilia nel periodo, lo avrete già capito, della seconda guerra mondiale. E proprio il recupero casuale di questa pubblicazione ci ha fatto venire l’idea di parlare di Tonga e ci ha spinto a fare le necessarie ricerche.

Oberdan Bisi aveva un piccolo, ma qualitativo allevamento in quel di Tamara, in provincia di Ferrara. Oberdan era una persona pratica, uno di quei piccoli allevatori che sono sempre stati la forza del trotto, poche fattrici, ma di qualità. Così non gli scappò quella puledra dell’amico Barilari, figlia di Fulminea che rubava l’occhio. Oberdan era un uomo d’istinto e diceva in ferrarese :<A mi am pias al cavali avanti, cun dal sang, dal spid, e d’ bona fameja> che… tradotto in italiano, vuol dire cavalle con del sangue, avanti, di speed e di buon ceppo materno. E Oberdan acquistò Tonga che, per essere figlia di Fulminea, discendente di Jockey, in pista, non esaltò. Così nel ‘43, fu mandata a Schnapps che, in quell’anno, faceva la monta per conto dell’ANACT servendo cavalle selezionate e, nel ‘44, venne alla luce Baselica, una bellissima puledra che poi diventerà famosa come madre. Tonga , dopo la nascita di Baselica, fu mandata alle Budrie da Mangelli, fu coperta da Inverno, rimase gravida e tornò a Tamara. Tutto bene quindi, ma erano i primi mesi del 1945, cioè il periodo nel quale gli alleati si apprestavano a sfondare la linea gotica e le truppe tedesche, ormai in fase di ritirata, requisivano tutto, o meglio, razziavano tutto. Anche i cavalli. Così Oberdan Bisi, per salvare il salvabile, pensò di trasferire il suo materiale da Tamara a Piacenza d’Adige in provincia di Padova nell’allevamento del comm. Alessandro Soldà. Sembrava un posto più tranquillo, più lontano dai punti caldi. Ma la precauzione fu inutile. Le truppe tedesche, ormai in rotta, si fecero vive e presero tutto quello che c’era da portare via, naturalmente anche i cavalli e, fra questi, Tonga. Ma Tonga aveva coraggio, personalità, una personalità che poi trasmise anche ai figli, e non accettò l’onta della prigionia. Approfittando, probabilmente, di una situazione favorevole, riuscì a sganciarsi dalla colonna dei “ prigionieri “ e scappò. Corse disperata per campi e strade bianche e la fuga riuscì. Affamata, assetata, e con i segni addosso della fuga, approdò, a tarda sera, in una fattoria in quel di Fietta del Grappa dove fu accolta, rifocillata e dove, il 14 maggio del 1945, dette alla luce un puledro che poi sarà chiamato Birbone.

Intanto Oberdan Bisi, passata la furia della guerra combattuta, come tanti allevatori della zona emiliana, la più tartassata dalle razzie, iniziò la ricerca del suo materiale disperso. Girò fra i casolari della campagna padana spingendosi fino al Veneto. Qui, parlando con tutti, venne a sapere che in una fattoria a Fietta del Grappa c’era una cavalla con un puledrino. Venuto a conoscenza di questo, Oberdan Bisi si recò subito a Fietta e recuperò Tonga e il redo ancora senza nome. Così, quando l’allevatore ferrarese parlò con i “salvatori” di Tonga, uno di questi gli disse che il puledrino era simpaticissimo, vivace, pieno di salute, ma un vero terremoto, in particolare era goloso delle mele e, per mangiarle, buttava all’aria le cassette del raccolto. Insomma, un vero birbone. Ed Oberdan Bisi decise di chiamarlo Birbone. Questa, del nome, non è storicamente accertata, ma è quasi sicuro sia andata così. Se la memoria di racconti o letture lontane non ci inganna.

Tonga, così, tornò nella campagna ferrarese, dove ritrovò la sua prima figlia Baselica e fu una grande fattrice, madre e nonna di grandi fattrici e di campioni, in primis, di Birbone, ma di lui ne parliamo più avanti.

Tonga visse trent’anni (1937-1967) e dette alla luce 18 puledri di cui 12 da corsa, ma fra quelle femmine che non ebbero successo in pista, c’è anche una mamma molto importante. Come già accennato, il primo prodotto fu Baselica (1944) madre, tra gli altri, di Basilea, prima nel Criterium Milanese 1951, guidata da Oberdan Bisi, del vincitore classico Bordo, generazione 1951, in pista per i colori della scuderia Sandra con Walter Baroncini, di Brasca, madre di Gebrasco, fra i migliori della generazione 1960, vincitore, fra l’altro, dell’Elwood Medium e del San Siro, morto prematuramente a 4 anni; poi, sempre da Brasca, Lirasca che ha dato, fra gli altri, Urpila di Iesolo nel 1971 (1.16.7) e Sasca di Jesolo da cui Elemis, generazione 1982, che conseguì un record di 1.13.7.

Dopo Birbone, 1945, ecco Berga (1948) 1.24.9, Beonio (1949) 1.20.1, protagonista delle classiche giovanili con Sergio Brighenti, Baseba (1950) 1.26.1, Bilancia (1951) 1.22.2; Belvino (1952) 1.21.9; Bibbia (1954) 1.25.1, madre del classico Scopeto, secondo nel Derby 1967, vinto da Brunico. Poi nel 1960 ecco la grande Blera che, guidata da Adriano Scirea, fu la femmina più forte della generazione di Steno, Fiesse e Gebrasco, sempre piazzata nelle classiche importanti. Dopo Blera, Tonga, ormai vecchia, ha dato due femmine, Argolide (1962), da Mighty Ned, e Colchite (1964) da In Extremis, entrambe senza record. Ma con Argolide, Tonga ha fatto parlare di sé fino agli anni ’80. Argolide, infatti, in coppia con Oriolo, nel 1968, ha generato Gamarth che, dopo una proficua carriera in corsa, record 1.17.6, messa in razza, ha dato due vincitori di Derby: Gentile, Nastro Azzurro 1979 ed Argo Ve, Nastro Azzurro 1981.

Che cosa avrebbe perso il nostro trotto se in quel lontano giorno della primavera del 1945, Tonga non avesse rischiato quella fuga vincente? E’… antistorico solo pensarlo.

E vogliamo concludere con Birbone che, fra i figli e gli altri discendenti di Tonga, è stato certamente il più famoso. Infatti, l’eco dei suoi successi, badate bene, iniziati in prima categoria solo all’età di 6 anni avanzati e durati fino ai 10 anni, sono entrati nella leggenda. Insomma un’onda lunga che ancora si fa sentire e con lui il suo grande interprete, Vivaldo Baldi, un binomio indissolubilmente legato al Lotteria e che ancora oggi, ad oltre mezzo secolo di distanza, quando i veri appassionati parlano della grande corsa napoletana, vecchi o giovani non ha importanza, per alcuni, il pensiero, per altri, i più vecchi, il ricordo, corre a quel binomio inimitabile.

Siamo in periodo di Lotteria e per la prima volta l’evento più importante della Napoli che trotta non vedrà presente Vivaldo Baldi, scomparso nello scorso mese di marzo, e mai mancato all’appuntamento con la corsa napoletana, per decenni protagonista in pista, negli ultimi anni attento osservatore in tribuna o dalle scuderie. Quindi questo ricordo di Birbone vuole anche essere un omaggio al grande driver scomparso poche settimane fa e all’indimenticabile morello di Maria Luisa. E farebbe bene Ippodromi & Città, proprio prima della finale, quando i cavalli scenderanno in pista, prima delle sgambature, a far osservare un minuto di silenzio in ricordo di Diecione e delle sue imprese. Siamo sicuri che il silenzio sarebbe assoluto e l’applauso finale salirebbe fino al cielo, da dove, forse, anche Vivaldo potrebbe sentirlo. Siamo inguaribili ammiratori di Frank Capra? Può darsi…

Ma torniamo all’argomento e, cioè, a Birbone, che abbiamo lasciato con mamma Tonga dopo la brutta avventura della guerra. Lo rivediamo a Napoli – sempre Napoli – il 9 ottobre 1947 dove debutta e vince alla media di 1.35.5. I colori sono quelli della Scuderia Savonarola di Oberdan Bisi che lo porta personalmente al successo. Seconda vittoria a Villa Glori il 26 dicembre 1947 migliorandosi a 1.31.8. Nel 1948 passa ai colori della San Gennaro con Guido Nesti, poi, nell’agosto 1948, l’acquisto da parte della scuderia Gavinana e l’entrata nelle scuderie di Dino Fabbrucci. Un grande preparatore Dino, l’uomo di Aulo Gellio, che fece di Birbone un professionista perfetto. Progredito per gradi, Birbone, con Dino Fabbrucci, arrivò piano piano alla prima categoria ed entrò nel famoso Libro d’Oro, quello riservato ai soggetti che avevano trottato sotto l’1.20, solo a 6 anni precisamente nell’estate del 1951 imponendosi a Roma in 1.19.9. Il cavallo, a tutto merito di Dino Fabbrucci, era perfetto, risparmiato, e ancora pieno di energie. E proprio in quella estate Birbone passò ai colori della Scuderia Maria Luisa, al training di Omero Baldi e alla guida di Vivaldo Baldi. E fu cappotto! Un filotto di cinque vittorie fra le quali l’Azienda Autonoma di Cura di Montecatini, il premio Roma a Villa Glori, il Campionato Europeo a Cesena e l’Autunno a Firenze e, poche settimane dopo, il Modena a San Siro. Birbone era entrato nella leggenda. Nel 1952 c’è la prima vittoria nel Lotteria bissata nel 1953 e triplicata nel 1955, all’età di 10 anni. Birbone, per quanto riguarda gli eventi più importanti, oltre ai tre Lotteria, ha vinto due volte il Campionato Europeo, due volte il Duomo, tre volte l’Autunno, ora Ponte Vecchio, due Città di Montecatini, un Ghirlandina, ora Renzo Orlandi, due Repubblica e un Città di Ravenna. E allora i gran premi non nascevano a grappoli come ai nostri tempi.

Dunque ancora un grazie ad Oberdan Bisi, a Tonga, a Birbone e soprattutto a quei signori di Fietta del Grappa che salvarono mamma e puledrino. Insomma, proprio una bella storia a lieto fine.

Ecco una sintesi di quello che sempre ci raccontava Vivaldo Baldi su Birbone.

<Un cavallo unico. Birbante nel privato, anche cattivello, ma un professionista eccezionale in corsa. Una testa d’oro. Se Crevalcore avesse avuto i’ cervello di Birbone avrei vinto tutto. Sapeva aspettare e quando gli richiedevi lo sforzo lottava come un leone. Un generoso>.

E a proposito della Lotteria 1955, nella quale stampò sul filo l’eterno rivale Bayard .

<Quel Lotteria fu un’avventura. Birbone corse con tutti i ditini rotti. A quei tempi non ci si badava tanto. Si curava, e via. In batteria corremmo per entrare in finale. Poi, prima della finale, massaggi a non finire per fargli passare il più possibile il dolore. Infine, entrammo in pista, ma fra sfilata, presentazione e ammennicoli vari il tempo passava e mi rendevo conto che il dolore stava tornando. Si andò in corsa e lui, come sempre, fu perfetto. Fece lo spunto in arrivo, vinse e poi dopo il palo sbagliò, ma la corsa l’avevamo vinta. Mi guardai i pantaloni e mi resi conto che erano tutti schizzati di sangue. Si rientrò alle scuderie, ma si doveva tornare in pista per il giro d’onore. Credimi, avevo paura che non ce la facesse a stare in piedi. Poi, come Dio volle, si tornò in pista, ma avevo paura che mi cascasse da un momento all’altro. Invece andò bene. Pensa che quell’anno, in agosto, si vinse anche il Città di Montecatini. E’ stato veramente un cavallo inimitabile>.